Bello bello bello, anzi proprio sensacional!
di Sensacional Staff scritto il 07 Dic, 2014 - 0 commenti
“Che bel lavoro che faccio, sono proprio fortunato”. Mi capita spesso di trovarmi a sospirare questo, specialmente quando vivo momenti di forte pressione, con scadenze ravvicinate, obiettivi che sembrano impossibili. Strano, no? E invece succede proprio così e questo mi rende felice, perché proprio quando sento che questa volta non ce la farò, che lo sforzo è troppo grande o difficile per me, mi ricordo del senso che ha per me tutto quello che faccio.
Mi occupo di non profit da 10 anni ormai: il mio è un lavoro molto faticoso, logorante, spesso frustrante, ma è anche “il più bello del mondo”, perché tutto ciò per cui mi adopero rimane nel tempo e rende migliore la vita della gente, anzi a volte gliela cambia proprio. Non sono un architetto che disegna case o un ingegnere che progetta ponti: anche loro producono qualcosa che rimane, che può migliorare la vita di tutti, ma io lavoro direttamente con gli esseri umani ed è qualcosa di delicatissimo, e splendido. In pratica, sono una persona che si prende cura di altre persone e mentre lo faccio devo tenere conto che ognuna di esse ha storie, emozioni, esigenze diverse. Sta a me fondermi con la loro vita, accompagnarla, per cercare di migliorarla, per quanto posso.
Mi interfaccio sempre con soggetti diversi tra loro e sicuramente diversi da me, che non mi conoscono, che molto spesso si trovano in difficoltà e vivono situazioni di emergenza. Comprensibilmente, essi non riescono a capire per quale motivo un bianco (chiamatelo gringo, mzungu, barang… sempre di bianco si tratta), che se ne poteva stare comodamente sul divano di casa sua a vivere la sua vita, arrivi fino a loro dall’altra parte del mondo per aiutarli, disinteressatamente. Trovo spesso un muro di naturale diffidenza davanti a me, e ci credo…. sono una specie di alieno! Per questo l’unica cosa che mi rimane da fare è tendere per primo la mano e condividere me stesso completamente, non come professionista, come “tecnico”, ma come essere umano, con le mie virtù e le mie debolezze, proprio come chi mi sta di fronte. Solo così si riesce a dissolvere quel muro, che protratto nel tempo può portare a situazioni di forte tensione e rischio.
Condividendo se stessi, ciò che si viene a creare con l’Altro (qualcuno che fino a pochi momenti prima era un perfetto sconosciuto) è un legame forte, fortissimo, di reciproca stima, fiducia e spesso affetto: perché quando si opera fianco a fianco per migliorare la vita di una sola persona o di tutta una comunità, sudando insieme, mangiando insieme, soffrendo e gioendo insieme, si capisce quanto noi esseri umani siamo tutti uniti e che è nella felicità dell’uno che risiede anche la nostra. È una rivelazione istantanea e poderosissima, che non ti abbandona più per il resto della tua vita. ♥
Ripenso alla passione di uomini e donne argentini che tramite le fabbriche recuperate cercano di proporre un modello di economia più giusta e meno orientata al profitto, lottando con coraggio accanto a chi perde il lavoro, fornendogli sostegno economico e competenze in modo che sia in grado di difendere i propri diritti. Ripenso alla dignità ed all’orgoglio di un gruppo di donne cambogiane che, poiché disabili, non hanno avuto accesso all’istruzione di base e oggi, analfabete, hanno creato una cooperativa di artigianato che esporta oggetti fino in Europa. Ripenso all’amore di un giovane imprenditore tanzaniano per lo sviluppo del proprio Paese, che ha abbandonato un lavoro di successo per dedicarsi completamente a garantire l’istruzione primaria per tutti i bambini. Ripenso all’amore incondizionato di tutte quelle persone, laiche e religiose, incontrate negli angoli più remoti (e difficili) della terra, che dedicano la loro vita per salvare altre vite. Ripenso anche all’entusiasmo di quei giovani innovatori sociali italiani che ce la mettono tutta per far cambiare verso (davvero!!) al nostro Paese e non abbandonarlo al proprio triste destino, nonostante tutto remi contro di loro.
Si tratta in tutti i casi di persone eccezionali, fuori dal comune, con le quali non sarei mai e poi mai riuscito ad entrare in contatto se non grazie al mio lavoro, alla mia missione, condivisa con tutti loro: dedicarsi al benessere dell’Altro, di chi mi sta accanto ma anche di chi mi sta lontano. Grazie.
Forte di tutto questo, nel 2010 ho messo insieme un gruppo di esperti del non profit che come me ritenevano di poter dare e fare di più nella loro professione, che poi è praticamente tutta la loro vita. Molti di noi fino a quel momento non erano altro che ingranaggi del sistema della cooperazione allo sviluppo, sempre più cinico ed orientato al profitto, che finisce per usare i “beneficiari” per propri fini e diventa avido di nuovi progetti in nuovi luoghi con nuove comunità. Perché?
Più progetti = più finanziamenti.
Più finanziamenti = più potere.
Più potere = più progetti e più finanziamenti.
È un cerchio. O un buco nero.
Ma in questa equazione, dove stanno le persone che hanno bisogno di un nostro aiuto concreto? Dove sono quelli che come me si mettono quotidianamente in gioco sul campo in Colombia, in Vietnam, in Afghanistan, in Sud Sudan… a Tor Sapienza? Perché si finisce per volere sempre di più anziché volere sempre il meglio?
E perché le persone diventano magicamente dei numeri, vengono racchiuse in indicatori e standard, ma non possono dire la loro? Perché si eseguono a casa loro progetti decisi a tavolino in Europa? E perché gli diamo ciò di cui NON hanno bisogno?
Ho cercato di dare risposta a tutti questi perché perché perché e sono arrivato alla conclusione che non volevo più essere parte di questo sistema, che non volevo più alimentarlo con la mia vita: mi sono allontanato dalle organizzazioni internazionali, che mentre aiutano si aiutano, che invece di rendere indipendenti le comunità locali le rendono ancora più dipendenti da loro. Ho deciso allora di promuovere un nuovo modello di sviluppo legato a valori ed obiettivi diversi, più al passo con le reali esigenze delle persone, più armonico, più frontale, più partecipato, più dinamico, un sistema capace (come me del resto) di mettersi in gioco per primo, di aprirsi verso l’Altro, di ricevere critiche e di sapersi migliorare sempre.
Con questa proposta aperta e sincera mi sono rivolto a chi la pensava come me: ne è nata una rete di persone entusiaste, libere, una rete di professionisti motivati, capaci, senza paura, pronti ad imparare sempre, a resistere agli urti ed ai cambiamenti, a sporcarsi le mani per rendere questo pianeta un luogo più giusto, più umano.
Sensacional nasce così, come un’esclamazione di stupore, con un pollice alzato verso l’alto tutto colorato, con la convinzione che “il bene” si può anche “fare bene”.
Siamo una rete di persone molto diverse fra loro, ma che vogliono tutte la stessa cosa: favorire un cambiamento benefico nella nostra vita, accompagnandola con piccoli gesti per migliorarla e per migliorare anche quella degli altri. Penso a recuperare un parco pubblico con l’aiuto di tutti i residenti e contemporaneamente educarli sul riciclo domestico. Penso alla creazione di una cooperativa di produzione di cioccolato equo-solidale all’interno di un carcere, che produca cioccolato di alta qualità. Penso alla protezione ed alla diffusione della cultura indigena secondo modalità innovative e partecipate. Penso ad un caffè letterario per i ragazzi della favela, unico spazio culturale per loro. Penso ad una rete di radio comunitarie per condividere conoscenze ed informazioni nelle fabbriche recuperate.
Questa è Sensacional: un network di teste e di cuori che producono soluzioni innovative e durevoli nel tempo per i problemi quotidiani del nostro mondo. Soluzioni così semplici ed efficaci che ci verrebbe quasi da chiederci: “come mai non ci ho pensato prima? Tutto questo è Sensacional!”
Avete testa e cuore da condividere? Diventate parte attiva e colorata del cambiamento.
Luca Bazzoli